Formazione e futuro: l’Impresa Formativa per le nuove generazioni

In un mondo in rapida trasformazione, dove le tecnologie evolvono più velocemente della capacità di adattamento delle competenze, l’Impresa Formativa emerge come uno degli strumenti più strategici per preparare i giovani alle sfide del futuro. È questo il messaggio lanciato durante il seminario ‘L’impresa formativa: una opportunità per connettere apprendimento e lavoro. Esperienze regionali e prospettive’ promosso da Sviluppo Lavoro Italia al Forum PA 2025, in corso al Palazzo dei Congressi dell’EUR.
“Abbiamo voluto questo incontro perché crediamo che l’impresa formativa, come prassi didattica, sia una delle risposte più coraggiose e strategiche ai grandi cambiamenti che stiamo vivendo,” ha detto Angelo Irano - Responsabile Area di produzione Nuove Competenze per le Transizioni di Sviluppo Lavoro Italia. “Parliamo di trasformazioni digitali, sociali, economiche e ambientali che stanno ridefinendo il concetto stesso di lavoro e apprendimento.”
L’impatto dell’intelligenza artificiale generativa e la velocità con cui questa tecnologia sta modificando non solo i processi produttivi, ma anche gli assetti organizzativi e le modalità di formazione. La velocità del cambiamento supera spesso i tempi della formazione tradizionale. Per questo serve una didattica real-time, integrata con il mondo del lavoro e capace di sviluppare competenze trasversali.
L’impresa formativa è una vera e propria palestra per il futuro, dove i giovani possono allenarsi ad affrontare l’incertezza, sviluppare soft skills – o meglio come preferisco dire “meta- competenze” – e acquisire strumenti per orientarsi in un mondo senza mappe, ma con nuove bussole interiori. È proprio in questo scenario che nasce l’esigenza di creare spazi di dialogo e collaborazione tra istituzioni nazionali e regionali, tra scuole e mondo imprenditoriale, tra enti della formazione e terzo settore. Questi spazi non sono solo luoghi fisici o tavoli di confronto, ma veri e propri laboratori di futuro, dove si costruiscono visioni condivise e si progettano percorsi educativi capaci di rispondere alle sfide del nostro tempo.
Le meta-competenze includono il pensiero critico, la creatività, la resilienza, l’empatia, la capacità di apprendere continuamente. Sono competenze trasversali, che non si insegnano con una lezione frontale, ma si sviluppano attraverso esperienze concrete, progetti, sfide reali. L’impresa formativa, in questo senso, è un contesto privilegiato: un luogo dove scuola e impresa si incontrano per costruire insieme percorsi di crescita autentica.
Fino a pochi anni fa, nessuno sapeva cosa fosse l’intelligenza artificiale generativa. Oggi, è una realtà che sta trasformando radicalmente il mondo del lavoro e della conoscenza. Ma siamo solo all’inizio: si affacciano all’orizzonte forme di IA ancora più avanzate, come l’intelligenza artificiale agentica, che promettono di cambiare i paradigmi stessi della nostra società. In questo scenario, anche le figure professionali evolvono: basti pensare al prompt engineer, una professione che fino a poco tempo fa non esisteva e che oggi è già in trasformazione. Non basta più saper scrivere un prompt efficace: serve costruire veri e propri progetti, definire strategie, orchestrare flussi di lavoro intelligenti. In altre parole, si alza il livello di competenza richiesto. Questa trasformazione non riguarda solo il mondo dell’AI, ma tutte le professioni.
Educare oggi significa preparare i giovani a vivere nella complessità. Significa costruire alleanze educative tra scuola, impresa, istituzioni e società civile. Significa riconoscere che le meta competenze non sono un lusso, ma una necessità. L’impresa formativa – o impresa didattica, nel caso degli istituti scolastici – è una vera e propria azienda all’interno di un contesto educativo, che produce beni o servizi per terzi con finalità formative. È un modello che unisce apprendimento e lavoro in un ambiente protetto, ma concreto.
Tommaso Cumbo - Responsabile Progetto Apprendimento in modalità duale di Sviluppo Lavoro Italia - ha poi offerto una panoramica completa sullo strumento dell’impresa formativa, evidenziandone potenzialità, articolazioni e criticità. L’intervento ha preso le mosse dal Decreto Interministeriale 129/2018, che ha istituito le imprese didattiche nelle scuole, estendendone poi i principi anche agli enti accreditati per l’Istruzione e Formazione Professionale (IeFP). Il Piano Nazionale Nuove Competenze, nell’ambito del PNRR, ha rilanciato questo strumento come modalità di alternanza rafforzata, valorizzandone la dimensione pratica e produttiva.
All’interno delle scuole e degli enti di formazione professionale accreditati sta prendendo forma una nuova realtà educativa: l’impresa formativa reale. Non si tratta di una simulazione, ma di una vera e propria attività produttiva, con clienti, commesse e beni o servizi venduti a terzi. Il tutto, però, con una finalità educativa e formativa.
Queste “aziende speciali” operano all’interno delle istituzioni scolastiche, con due vincoli fondamentali: la contabilità separata e l’obbligo di reinvestire gli utili in attrezzature, laboratori e attività didattiche. Un modello che unisce apprendimento e lavoro, responsabilità e creatività, e che prepara i giovani a entrare nel mondo produttivo con competenze concrete.
Il Ministero del Lavoro, in risposta a un interpello, ha esteso questo modello anche agli enti di formazione accreditati che erogano percorsi di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP). Un passo importante che amplia le possibilità di sperimentazione e innovazione didattica.
Il rilancio dell’impresa formativa reale è stato fortemente sostenuto dal Piano Nazionale Nuove Competenze, nell’ambito del PNRR, attraverso l’investimento sul cosiddetto “Sistema Duale”. Questo sistema prevede percorsi formativi che alternano scuola e lavoro, e identifica l’impresa formativa come una delle modalità di alternanza rafforzata, cioè esperienze pratiche svolte in contesti produttivi autentici. All’interno dell’istituzione formativa si ricrea un vero e proprio contesto produttivo. Gli studenti partecipano attivamente alla gestione di commesse, rispondono a clienti reali, e affrontano sfide concrete, pur restando in un contesto protetto e guidato. Non sono lavoratori contrattualizzati, ma apprendisti della realtà.
Un modello che non solo favorisce l’occupabilità, ma stimola anche l’imprenditorialità giovanile, la responsabilità e il lavoro di squadra. E che, grazie al sostegno del PNRR, potrebbe diventare una delle leve più efficaci per rinnovare la scuola italiana e avvicinarla al mondo del lavoro.
Tommaso Cumbo ha citato esempi concreti di prodotti creati dall'attività formative come il gelato per diabetici prodotto dal CIOFS di Casale Monferrato, o il Pan del vin artigianale creato in Veneto per accompagnare la degustazione del prosecco. “Sono prodotti reali, ma anche strumenti di marketing territoriale e inclusione sociale.
“Gli studenti non sono semplici osservatori: gestiscono commesse, interagiscono con clienti, producono valore. Ma restano allievi, seguiti da tutor e docenti, in un contesto che consente anche di affrontare fragilità e percorsi di reinserimento.”
Non mancano però le difficoltà, ha affermato: “Il problema principale è l’ambiguità normativa: spesso le imprese formative vengono trattate come aziende vere e proprie, con obblighi e costi che ne ostacolano la realizzazione,” ha sottolineato. Solo alcune regioni, come Piemonte e Toscana, hanno iniziato a regolamentare in modo specifico queste esperienze.
'Grazie per l’invito e per l’opportunità di raccontare l’esperienza piemontese', ha esordito Enrica Peirolo - Dirigente Settore Formazione Professionale della Regione Piemonte - Per noi, l’impresa formativa è stata un’occasione per arricchire l’offerta educativa sul territorio, coinvolgendo attivamente studenti e istituzioni e farne strumento strategico per integrare scuola e lavoro’.
La sperimentazione è partita nell’anno formativo 2021/2022, con il supporto di Sviluppo Lavoro Italia, e ha coinvolto interi gruppi classe di studenti dai 15 anni in su, iscritti a percorsi di istruzione e formazione professionale, sia ordinari che in modalità duale. Nel primo anno di sperimentazione sono state attivate cinque imprese formative, tra cui quella del Chiostro di Casale Monferrato, e altre nei settori dell’acconciatura, estetica, meccanica ed elettronica. Negli anni successivi si sono aggiunti anche i settori della vendita e della grafica. Le attività si svolgono nel monte ore curricolare, con finalità formative e senza contratto di lavoro.
Il Piemonte ha scelto un modello in cui è l’istituzione formativa stessa a diventare impresa, questo significa che la scuola o il centro formativo si dota di strumenti organizzativi e operativi per gestire direttamente l’attività produttiva, nel rispetto delle normative di settore.
L’attività lavorativa si svolge all’interno del monte ore curricolare, diventando parte integrante del percorso formativo. 'Non si tratta di uno stage né di un semplice laboratorio', ha spiegato Peirolo, 'ma di un’esperienza immersiva in un’organizzazione aziendale reale, con finalità formative'.
Gli studenti mantengono lo status di studenti, senza necessità di un contratto di lavoro, ma sono comunque soggetti alle normative sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Tra i punti di forza emersi, la capacità del modello di coinvolgere attivamente gli studenti, offrendo loro un’esperienza concreta e significativa. Tuttavia, non sono mancate le difficoltà: 'Le istituzioni formative devono affrontare obblighi normativi e organizzativi non banali', ha sottolineato Peirolo. 'Serve una preparazione adeguata, sia tecnica che pedagogica, per gestire un’impresa all’interno della scuola'.
L’esperienza piemontese, pur nata nell’ambito dell’istruzione e formazione professionale, ha dimostrato un potenziale che va oltre. 'In prospettiva, questo modello può essere esteso anche agli adulti', ha detto Peirolo. 'È uno strumento potente per l’orientamento, l’inclusione e la costruzione di competenze reali'.
'Abbiamo monitorato l’andamento della sperimentazione per valutarne l’efficacia', ha spiegato Peirolo e 'abbiamo riscontrato che alcuni elementi sono imprescindibili: informare bene studenti e famiglie, pianificare con precisione, monitorare in itinere e valutare sia gli apprendimenti che la sostenibilità economica dell’impresa'.
Negli ultimi mesi, ha detto Miriana Bucalossi - Titolare di incarico di Elevata Qualificazione Programmazione Tirocini e Apprendistato. Gestione Progetti Europei e Reti Transnazionali della Regione Toscana, il confronto tra regioni e istituzioni scolastiche ha riportato al centro dell’attenzione un tema cruciale per l’innovazione educativa: le imprese didattiche. L’esperienza della Regione Toscana si concentra prevalentemente nelle scuole secondarie di secondo grado, nei percorsi di formazione professionale (FP), invece, i progetti di impresa didattica sono ancora pochi. Un nodo centrale è la terminologia: impresa formativa o impresa didattica? La Toscana ha scelto quest’ultima definizione per sottolineare che non si tratta di simulazioni. Come ribadito già nel 2018, ogni volta che si presentava l’iniziativa, la reazione era spesso: “Ah, è un’impresa simulata.” Ma la risposta era sempre la stessa: “No, non si simula nulla. È un’impresa vera e propria, con finalità formative.”
Dal punto di vista normativo, il riferimento è il DM del 2018, in particolare gli articoli 25 e 26, che disciplinano le aziende speciali a fini didattici. Tuttavia, oltre a questi articoli, manca un quadro operativo chiaro. Le scuole, una volta ottenuto il finanziamento, si trovano spesso a chiedere: “Quali atti devo fare? Serve un notaio? Un verbale?” È qui che emerge la necessità di rafforzare la capacità amministrativa e giuridica delle istituzioni scolastiche.
Non basta la norma: serve formazione e accompagnamento. Le scuole che riescono a utilizzare efficacemente questo strumento sono spesso quelle con una lunga tradizione di aziende speciali, come gli istituti tecnici agrari o professionali, che hanno anche reti di collaborazione nazionali e internazionali.
Nella precedente programmazione del Fondo Sociale Europeo, la Toscana ha finanziato circa 35 imprese didattiche. Con la nuova programmazione, sono 11 i progetti in valutazione. Il finanziamento iniziale — 50.000 euro — serve ad avviare la fase di start-up, ma è solo l’inizio. La vera sfida è garantire la continuità e l’impatto nel tempo.
L’esperienza toscana si è concentrata soprattutto nelle scuole secondarie di secondo grado, con circa 35 imprese didattiche finanziate nella precedente programmazione del Fondo Sociale Europeo e 11 nuove in fase di valutazione. Quindi 31 imprese didattiche attive (su 35 finanziate), circa 3.100 studenti coinvolti direttamente, potenziale impatto su circa 30.000 persone considerando l’intera comunità scolastica e poi i settori più attivi: agricoltura (erbe officinali), ristorazione, riparazione e riciclo di apparecchiature elettroniche, meccatronica, mobilità verde. Tuttavia, le difficoltà non mancano. «La normativa esiste, ma è limitata», ha spiegato Miriana, riferendosi agli articoli 25 e 26 del DM 2018 che regolano le aziende scolastiche a fini didattici. «Il resto è lasciato alla capacità delle scuole di interpretare e applicare la norma».
Tre i blocchi tematici su cui si è concentrato l’intervento: le condizioni di sistema, la governance e la sostenibilità. Quest’ultima, in particolare, rappresenta una sfida cruciale: «Il nostro finanziamento iniziale è di 50.000 euro, ma ci aspettiamo che l’impresa sia sostenibile anche dopo la fine del progetto. Non sempre è così, soprattutto se manca una tradizione di azienda speciale nella scuola». Oggi, con la nuova programmazione 2021–2027, la Regione Toscana rilancia con uno stanziamento di un milione di euro. L’obiettivo è duplice: da un lato, rafforzare le imprese didattiche come strumenti di orientamento esperienziale per gli studenti; dall’altro, promuovere una collaborazione strutturata tra scuole, ITS e università, superando il tradizionale approccio informativo per abbracciare una formazione più pratica e integrata.
«Non si tratta solo di insegnare – ha spiegato – ma di accompagnare i docenti a diventare anche progettisti e gestori, con una visione imprenditoriale capace di garantire sostenibilità ai progetti». Un passaggio non semplice, che richiede formazione, governance e un quadro normativo chiaro.
Il modello toscano, ora in fase di adattamento anche per le università, punta a diventare un riferimento a livello nazionale ed europeo, grazie anche al supporto di Sviluppo Lavoro Italia e alla rete europea delle autorità locali per l’apprendimento permanente.
Le politiche regionali, come quelle toscane, hanno sostenuto finanziariamente l’avvio e il consolidamento delle imprese didattiche. Ma non basta: servono linee guida chiare, standard di riferimento e integrazione con altre politiche, come l’apprendistato o i PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento).
L’impresa didattica ha anche un forte valore orientativo: permette agli studenti (e potenzialmente anche agli adulti) di capire se una certa professione fa per loro. Molti ragazzi, grazie a queste esperienze, hanno capito cosa non vogliono fare, un risultato prezioso in ottica di orientamento consapevole. L’impresa didattica non è solo un laboratorio scolastico, ma un vero e proprio strumento di politica educativa e territoriale. Perché funzioni, però, servono visione, continuità, e un forte legame con il contesto locale.
Nel suo intervento conclusivo, Andrea Simoncini - Dirigente della DIVISIONE IV - Politiche e interventi in materia di formazione professionale. Attività di autorizzazione, vigilanza e controllo su fondi ed enti. Riconoscimento delle qualifiche professionali. Autoimpiego e autoimprenditorialità del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - ha rilanciato con forza l’impegno delle istituzioni verso un rafforzamento del sistema duale, sottolineando come gli ultimi dieci anni abbiano posto le basi per una vera e propria “transizione duale”. Una transizione che punta a connettere l’apprendimento con i contesti reali, rendendo l’educazione più significativa e orientata al futuro. 'Quando un ragazzo vede il traguardo, il valore d’uso di ciò che apprende, non si perde', ha affermato Andrea. È questo il cuore del sistema duale: dare senso all’apprendimento attraverso l’esperienza. I risultati ottenuti con il PNRR, sia in termini di successo formativo che occupazionale, lo dimostrano. Il Ministero del Lavoro sta lavorando su più fronti: dalla riforma dell’apprendistato, per renderlo più flessibile e accessibile anche agli adulti, alla revisione dei tirocini, giunta ormai alla terza fase dal 2013. Ma accanto a questi strumenti tradizionali, emerge con forza il ruolo dell’impresa formativa.
'L’impresa formativa valorizza non solo il lavoro, ma la comunità educativa', ha spiegato Andrea Simoncini. Non è solo una scuola che sperimenta l’imprenditorialità, ma un ecosistema che coinvolge studenti, docenti, territorio e imprese. In alcune esperienze, come in Veneto, queste realtà sono diventate veri e propri strumenti di marketing territoriale.
Uno degli obiettivi dichiarati è rendere il sistema duale più inclusivo e universale, anche dove l’apprendistato non può essere attivato per mancanza di contratti o disponibilità da parte delle imprese. 'Servono soluzioni alternative, e le imprese didattiche sono una risposta concreta'.
Per questo, il Ministero sta immaginando iniziative mirate: incentivi alle regioni, promozione di buone pratiche, e soprattutto la costruzione di linee guida nazionali che, pur non vincolanti, possano fungere da strumenti di supporto e accompagnamento. Andrea Simoncini ha concluso con una visione chiara: 'Dobbiamo costruire una comunità di pratiche, che parta dal livello programmatorio delle regioni e arrivi fino ai soggetti attuatori. Le imprese didattiche che ho visitato sono luoghi di entusiasmo, veri laboratori di pedagogia del sorriso'. Ha chiuso il suo intervento dicendo 'Abbiamo finito il tempo, ma non il racconto. E anche raccontare è un modo per apprendere e migliorare. Grazie a tutti'.